Davide Viviani (in trio) – presentazione dell’album L’Oreficeria

 

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Ecco qui la data di recupero del concerto saltato causa neve giovedì 1 marzo -

Vi aspettiamo domenica 11 marzo! ALLE ORE 21.00

 

Domenica 11 marzo, ALLE ORE 21.00 – Davide Viviani (in trio) in concerto – Presentazione dell’album L’oreficeria

 

Davide Viviani (voce, chitarra classica)

Andrea Abeni (chitarra elettrica)

Luca Ferraboli (piano elettrico, fisarmonica)

 

Davide Viviani (1981) inizia a suonare a 17 anni e subito fonda la sua prima band i Gomi no Sensei (musica strumentale), si avvicina allo studio della chitarra classica all’età di 20 anni e parallelamente milita in diverse band come chitarrista elettrico. Dopo queste diverse ma profonde esperienze si dedica ad un suo personale progetto di scrittura di canzoni.

Nel dicembre 2011 pubblica il suo primo disco “Un giorno il mio ombrello sarà il tuo” (auto prodotto) con la produzione artistica di Gabriele Ponticiello (Howe Gelb and Giant Sand, Cesare Basile, Sick Tamburo, Annie Hall…continua). La promozione di questo disco vede un buon numero di concerti eseguiti da solo (Voce e chitarra classica). Nel maggio 2014 è finalista a Musica da bere concorso nazionale per autori di canzoni.

Nel 2017 arriva il suo secondo disco “L’oreficeria” con la produzione artistica di Alessandro “Asso” Stefana (Vinicio Capossela, PJ Harvey e tanti altri). Questo disco vede anche la collaborazione musicale di Marco Parente.

 

Qui quello che ha scritto Fabrizio Malpighi di SentireAscoltare:

https://sentireascoltare.com/recensioni/davide-viviani-loreficeria/

L’oreficeria di Davide Viviani è un disco che mette al centro la parola. Una parola nata prima come dizione poetica e poi diventata canzone, racconto di una quotidianità sottopelle come la canterebbe un Dente più riflessivo e introverso, e tradotta da una penna virtuosa che non teme i silenzi o gli spazi vuoti. In un album che lascia trasparire un cantautorato atipico nella cadenza ed elaborato nel fraseggio, il senso del discorso va cercato in componimenti come E a tutto quel mondo lì, con un De Gregori che entra di soppiatto nei rimandi musicali a modellare un gioco di specchi intriso di rapporti umani, o magari nella bellissima Litania della città alta, in cui un viaggio in funicolare diventa l’occasione per osservare malinconicamente la propria vita dal finestrino («di là la noncuranza del guidatore, quante ne avrà sentite sali e scendi, prezioso il suo bagaglio, solo quello di chi può buttare tutto, io invece me lo porto a spalle il bello e il brutto attorno»). Elementi biografici che si mescolano a riflessioni personali, condotti a passo lento da una voce che non pretende a tutti i costi attenzione, ma nel flusso di coscienza ritrova spessori semantici capaci di rapire.

Il contorno è un elegante e minimale tratteggio di arpeggi di chitarra acustica, elettricità trattenute, concessioni a un’America folk epidermica (Agua), ragnatele di pianoforti quasi impercettibili, ironici valzer (Nella colza), su geometrie che si fanno elastiche e malleabili, fascinose e quasi blues – per lo meno nell’indole. L’Alessandro “Asso” Stefana (PJ Harvey, Vinicio Capossela) chiamato a produrre interpreta alla perfezione una materia musicale corposa e strutturata, che negli arrangiamenti necessita di respirare per mostrare tutta la sua articolata metrica letteraria. Una complessità di sapori a cui dà il suo contributo anche Marco Parente, chiamato a chiosare in un’insolita veste di batterista parco e attento ai dettagli, e implicitamente a dare la sua benedizione a un artigiano specializzato come Viviani.

Manca giusto un po’ di quantità alla qualità di questi (soli) otto brani, ma quel che si ascolta mostra un tale groviglio emotivo e una così raffinata indole poetica, che è impossibile restare impassibili.

 

Uscito il 17 novembre 2017, L’oreficeria è il nuovo album di Davide Viviani. Caratterizzato da un cantautorato raffinato e cesellato dall’ottima produzione artistica di Alessandro “Asso” Stefana (con la collaborazione di Marco Parente alla batteria), il disco mette al centro una parola nata prima come dizione poetica e poi diventata canzone, un racconto di sentimenti personali e quotidianità pensato da una penna virtuosa che non teme le lentezze, i silenzi o gli spazi vuoti. «Un ritrovo di chitarre languide, steel sottili come piccoli fasci di luce, batterie trotterellanti e pianoforti che incastonano precisi le melodie – si legge nelle note stampa allegate al disco – un suono di tramonto e frontiera, un piccolo intenso pezzo di provincia americana su una Gardesana da percorrere a tappe per lasciare che le canzoni respirino e decantino, sei anni dopo il debutto Un giorno il mio ombrello sarà il tuo»

 

 

 

 

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